[Questa è l'ottava lezione vera e propria del Corso Base di Scrittura: se hai perso l'introduzione al Corso Base di Scrittura e Sceneggiatura, ti consiglio caldamente di leggerla!]
Proseguiamo con gli approfondimenti legati al Filtro del Personaggio: secondo articolo di tre.
Torniamo al buon Gino di cui abbiamo parlato prima. Se non esistono scene (per quanto brevi, anche solo di poche righe) per Mostrare la stupidità o la disonestà di Gino, ovvero se questi due elementi non hanno spazio alcuno nella storia, c’è da domandarsi se non sia meglio evitare del tutto di Raccontare al lettore un dettaglio insignificante di un personaggio, magari, altrettanto insignificante.
Perché Raccontate al lettore qualcosa che poi non Mostriamo nella vicenda? Perché costruire un Raccontato incoerente con il Mostrato? Tornerò di nuovo dopo su Gino per completare il ragionamento. Prima ti faccio un esempio concreto in cui Raccontato e Mostrato sostengono tesi diverse.
È il 1905 e io odio Einstein. Credo che Einstein sia un cretino e passo il tempo dicendo a tutti che Einstein non capisce niente di Fisica. Io sto dicendo a tutti (Raccontando) che Einstein non sa nulla di Fisica. La gente può credere o non credere, ma io non lo sto provando (Mostrando) con esempi concreti del perché Einstein sia un imbecille che non sa niente di Fisica.
Einstein quell’anno (1905, Annus Mirabilis) pubblicò i famosi testi sull’effetto fotoelettrico, il moto browniano e la relatività speciale. Einstein ha sconvolto il mondo con una nuova visione dello spazio, del tempo e della materia. Einstein ha “mostrato” qualcosa da cui si deduce che lui è un genio della Fisica.
Come sosteneva Aristotele: lo scopo della retorica non è persuadere, ma è mostrare ciò che causa la persuasione. Tutti in poco tempo hanno creduto al genio che Einstein aveva Mostrato con fatti concreti, ma ben pochi (nessuno?) al fatto che venisse Raccontato che era un incompetente (e qualcuno lo avrà sicuramente detto: dietro ogni persona capace ci sono gruppi di denigratori… figurarsi dietro un ebreo tedesco pacifista).
Esempio più diretto, in cui sia il Raccontato che il Mostrato sostengono la stessa tesi. Se io dico “la convivenza pacifica tra persone dal colore della pelle differente è possibile, ma l’odio radicato da entrambe le parti può rendere difficile o doloroso il cambiamento perché anche se qualcuno smettesse di odiare gli altri, non è detto che tutti gli altri smetterebbero di odiare lui e di aggredire chi ama”, non ci piove che ho tirato fuori una sequenza di ovvietà.
Non cambierà la vita di nessuno sentire una simile sequenza di stupidate. Tramutiamole in scene drammatiche, costruite apposta per farci vedere il percorso di cambiamento di uno o più personaggi che da feroci nazisti diventano tolleranti verso la comunità afroamericana. Ora abbiamo American History X, un film che ha influenzato la visione del razzismo e della convivenza di tante persone. È molto meglio ora. Chiaro, no?
Immagino avrai sentito dire che non c’è nulla di male a Raccontare un po’, ogni tanto, soprattutto in chiusura o in apertura delle scene Mostrate per collegarle meglio, giusto? Anche io te l’ho indicato come possibilità prima, ma non ho detto che non ci fosse nulla di male.
Se si intende dire che non c’è nulla di male nel senso che la massa dei lettori non si accorgerà in modo esplicito del problema e si godrà tutto il Mostrato lo stesso, è vero. Non è un singolo errorino a rovinare la lettura. Se si intende che è artisticamente e tecnicamente uguale, è una stupidaggine, chi la dice è un cialtrone e chi ci crede è uno che si fa abbindolare con le facili scorciatoie.
Il motivo, già indicato un paio di volte prima, è di una semplicità disarmante: nella vita esiste solo il “qui e ora” (Mostrato) e nessuno si imbatte mai in un “riassunto” di eventi vissuti o cose percepite (Raccontato).
Solo il Mostrato è in grado di conseguire l’obiettivo di verosimiglianza “trasparente” che è alla base della narrativa per permettere l’Immersione e, successivamente, conseguire qualsiasi altro scopo retorico ulteriore.
Visto però che spesso si preferisce evitare il problema dello spiegare come mai da almeno mezzo secolo gli esperti siano concordi sull’importanza fondamentale del solo Mostrato, gli autori dei manuali tendono, visto che comunque per il pubblico non cambia nulla, a essere molto permissivi sull’uso di un po’ di Raccontato qua e là. Sanno che nei loro romanzi scrivono in modo tutt’altro che perfetto e hanno paura di essere criticati aspramente se in un saggio si mostrano troppo inflessibili.
Ma voler evitare polemiche con i lettori, magari legate alle proprie colpe come autore di narrativa che verrà bersagliato dopo aver scritto un manuale, è diverso dall’affermare qualcosa in virtù della sua reale correttezza pratica e teorica. Bisognerebbe dire le cose come stanno, ovvero che è sbagliato però non è così grave se uno lo fa solo ogni tanto.
Tra i pochi autori onesti disposti a dire le cose come stanno, senza mezze misure, perché si sono costruiti una fama nell’ambito didattico che permette loro di dire la verità senza paura, c’è Jack Bickham (professore della scuola di giornalismo dell’Università dell’Oklahoma, con 75 romanzi pubblicati, morto nel 1997).
Il brano che stai per leggere viene da un capitolo di Scene & Structure in cui Bickham stava parlando del fatto che un romanzo è composto solo da scene e che ogni scena è basata sul conflitto, con una “domanda” iniziale sull’obiettivo del personaggio a cui la scena risponderà alla fine negativamente, portando il personaggio lungo un percorso di fallimenti sempre peggiori, crisi di natura etica incluse, per gran parte dell’opera. Ho messo il grassetto sui punti più importanti: dovrebbero suonarti familiari.
Tali scene di conflitto sono tutto ciò che gli amanti della narrativa desiderano […] vogliono viverle nella loro immaginazione. Viste come stanno le cose, tu vorrai costruire delle scene più grandi possibili e vorrai renderle più credibili – come se fossero reali – che potrai. Il metodo migliore per ottenere questo fine è di presentare ogni scena momento per momento, senza lasciare nulla fuori, perché non esistono riassunti nella vita reale e quindi non puoi avere nemmeno tu dei riassunti nella tua scena, se aspiri al massimo realismo possibile e al massimo coinvolgimento del lettore.
Ovviamente è sottinteso che il tutto da Mostrare sia tutto ciò che conta, accuratamente selezionato per evocare al meglio, con pochi dettagli altamente drammatici, i personaggi, i luoghi, gli oggetti ecc. ovvero la classica regola del Mostrare “ciò che serve”, come sottolineata anche da ÄŚechov e da Hemingway.
ÄŚechov, costruendo l’atmosfera complessiva della notte e Mostrando i riflessi di luce lunare su un vetro rotto, fece vedere la luna piena – mai descritta – ai lettori. Lettori che si stupirono, in un corso di scrittura, non riuscendo a ritrovare alcuna descrizione della luna piena quando rilessero il racconto apposta per ritrovare quella descrizione che li aveva colpiti (aneddoto riportato da David Madden in Revising Fiction).
Hemingway nella Teoria dell’Iceberg invita a conoscere il proprio argomento con un tale livello di perfezione da poter mostrare solo quei pochi dettagli perfetti capaci di evocare, con tutta l’enorme forza data dalla brevità, anche tutto il resto meglio di quanto accadrebbe se ci si dilungasse con maggiori quantità di dettagli meno importanti.
Lo sosteneva già Aristotele nella Poetica: di meno è meglio che di più, perché l’eccesso di dettagli meno validi diluisce l’effetto di quelli più validi. Pochi dettagli ben scelti possono costruire un’atmosfera eccellente ed evocare nella mente del lettore più di quanto il testo dica “parola per parola”, ma questo può avvenire solo Mostrando. Sempre.
Perfino Wayne Clayson Booth, che ha rivalutato più di tutti il povero Raccontato, non lo ha fatto in virtù del suo essere un “riassunto” (che considera spazzatura), ma attribuendogli un nuovo valore di “messaggio” trasmesso tramite il Mostrato. Completamente diverso dal vecchio Raccontare, che nulla può contro la potenza del Mostrare… e in parte connesso al concetto di premessa che introdurrò nella seconda parte del manualetto.
Il vero problema è quando il Narratore-Autore (o il personaggio in prima persona) si rivolge direttamente al lettore, distruggendo la finzione di realtà narrativa con i suoi commenti e le sue valutazioni (Narratore Invasivo).
Il Narratore che parla al Lettore, anche solo per un istante, è una pessima idea. Come puoi immaginare, il Narratore esterno al PdV che si introduce a commentare come se scendesse col megafono dal cielo annienta la verosimiglianza. A meno che tu non sia abituato davvero a vedere la manona di Dio che scende dal cielo e il suo vocione che romba nel megafono per spiegarti cosa devi pensare di questo o di quello (come facevano Omero o il Manzoni): in tal caso uno psicoterapeuta potrà aiutarti.
L’autore che si introduce nella vicenda per commentare è morto a metà Ottocento, con il lavoro di Flaubert, il primo ad affrontare seriamente il problema. Cito dalla lettera di Flaubert a Mademoiselle Leroyer de Chantepie, del 18 marzo 1857 (la ricordi?):
L’artista deve essere come Dio nella creazione, invisibile e onnipotente; bisogna percepirlo ovunque, ma non vederlo mai.
Nonostante questo, dopo un secolo e mezzo, lo zombie del Narratore Invadente continua ancora oggi a emergere in giro. Una variante pericolosissima di questo zombie è il personaggio che invade la vicenda come Narratore. “Essendo il personaggio e dovendo filtrare tutto è normale che permei tutto con la sua presenza, quindi qual è il problema?” magari ti starai chiedendo.
Il problema è quando smette di filtrare “qui e ora” e inizia a commentare come se conoscesse il futuro, per quanto distante solo pochi secondi o minuti. O a riassumere (Raccontare), come se sapesse già tutto e lo sintetizzasse per il lettore. Ne abbiamo già parlato prima, ma preferisco tornarci per sicurezza. Rimani sempre concentrato su cosa “ora” il personaggio percepisce, e quali pensieri “ora” può avere in base a ciò che gli accade, e non avrai problemi.
Commenti come questo:
È difficile da spiegare, ma sentire un sospiro del genere dal capitano Caligaris, per uno della 26ª, è come per un frate sentire il papa che molla una bestemmia.
O questo:
(e state certi che il fronte è pieno di sottufficiali impiccioni)
O questo:
Quest’azione è diversa dall’attacco alla colonna corazzata, pertanto avanziamo nel bosco come una squadra di schiacciasassi, travolgendo la vegetazione senza preoccuparci del rumore.
Questi commenti sono terribili perché fanno di tutto per cacciare il lettore dalla vicenda, dandogli di gomito e dicendo “vedi che è solo una storia, caro lettore? Vedi che sono solo io che ti parlo e ti spiego pure le cose che non conosci?”
Davvero, l’idea di base della narrativa è il contrario: far immergere il lettore nella storia come se fosse vera, come se il testo non esistesse e nemmeno l’autore, e non ricordargli che sta solo leggendo una storia inventata!
La narrativa moderna è nata col rifiuto dell’Autore che si introduce e si è evoluta successivamente passando dalla Telecamera Neutra (la vicenda non filtrata, mostrata come se un fantasmino riprendesse tutto per farne un film) fino allo stadio finale attuale, quello della penetrazione profonda.
Non c’è motivo di rinunciare al filtro del personaggio tramutandolo in una variante del Narratore Invadente. Che invada a volontà, ci mancherebbe, ma solo come filtro del punto di vista che vive e commenta “qui e ora” come se il lettore non esistesse!
Quando si scrive bisogna diventare il personaggio, vedere il mondo con i suoi occhi, percepirlo con i suoi sensi, e possibilmente filtrare il mondo attraverso la sua mente e la sua visione del mondo. Questa è la vera narrativa moderna: un’esperienza per il lettore di vita nel corpo di un individuo diverso.
La penetrazione profonda è “diventare il personaggio” ed è quella obbligatoria per scrivere bene in prima persona. Se l’opera è in terza persona, c’è anche la possibilità della penetrazione leggera, un po’ più neutrale, dove si mantiene solo l’accesso ai pensieri diretti del personaggio e si lascia più oggettiva possibile la percezione sensoriale, senza filtrare tutto con la mente del personaggio. In prima persona la penetrazione leggera non funziona bene, suona “aliena” e povera di filtro mentale.
Prima le abbiamo chiamate anche “focalizzazione” profonda o leggera, ma chiamarle penetrazione, ora che abbiamo dei concetti in più sull’immersione, è più preciso.
Alternare penetrazione profonda e leggera in terza persona, come già accennato in precedenza, non è una scelta ottimale perché crea incertezza narrativa. Stiamo a tutti gli effetti nascondendo delle informazioni al lettore, se evitiamo di usare il filtro “profondo” quando il personaggio avrebbe qualcosa da commentare e usiamo invece quello “leggero”.
Se facciamo così, alternando a piacimento, togliamo valore al non detto della storia, perché non siamo più in grado di dire se l’assenza di commenti sia legata o meno all’assenza di opinioni. Il personaggio diventa inaffidabile non perché lo sia davvero, ma perché noi accendiamo e spegniamo a piacere l’accesso alle sue opinioni per confondere il lettore. Questo è un pericolo della terza persona gestita male che tratto anche nel Corso Avanzato.
Nella penetrazione profonda non filtrare (interpretare) l’elemento indica semplicemente che il personaggio non ha un’opinione particolare della cosa che percepisce: la vede più oggettivamente che può, senza commentarla, perché non ha niente da dire a riguardo. Il non detto ci dice qualcosa.
L’Autore rimane, certo, ma è un Autore Implicito: lui crea il personaggio e le vicende e decide il tono della storia, ma non appare mai esplicitamente nel testo. La storia Mostra sé stessa, non è l’Autore che la Racconta. Il retore non persuade gli ascoltatori: Mostra ciò che ne causerà la persuasione. Semplice, no?
Questa è la base della rivoluzione portata da Booth nel mondo della narratologia: la sua analisi dimostrò che la narrativa è una forma di retorica e non di mera estetica.
Il problema dello scrivere davvero bene è che se le idee, la visione del mondo o il modo in cui il mondo appare (tono, atmosfera), risultano insopportabili al lettore, questi a causa della gran quantità di sensazioni sgradevoli smetterà di leggere.
Ma non è colpa della scrittura: la scrittura deve far provare forti sensazioni con una immersione completa, poi è naturale che se sono “di disgusto” ci saranno anche persone che non vorranno leggere oltre. È un problema di argomento, non di tecnica narrativa.
Tanti lettori hanno criticato Perdido Street Station di China Miéville per le sensazioni sgradevoli che dava, pur non essendo certo scritto bene come narrativa (troppa Literary fiction dei poveri e comprensione sottozero della penetrazione profonda), anzi…
Scrivere una storia credibile con protagonista Roman von Ungern-Sternberg in Mongolia prevede una quantità abnorme di antisemitismo, misticismo pseudo-buddista, gente uccisa senza motivo con false accuse di bolscevismo, torture gratuite (adorava tutti i supplizi che coinvolgessero gli alberi, crocifissioni e squartamenti inclusi) e cadaveri abbandonati a marcire perché il Barone adorava circondarsi di morti in decomposizione.
La maggior parte dei lettori troverà insopportabile un protagonista che sia schierato dalla parte di Roman, figurarsi vedere il mondo con gli occhi di quello psicopatico, costringendosi a giustificarlo (con la sua mentalità, non con la nostra, ovviamente) e a capirlo perché l’immedesimazione così ci vuole obbligare a fare!
Questo è un elemento fondamentale del discorso etico di Wayne Clayson Booth sulla scrittura: se l’opera esprime contenuti o valori estremamente diversi da quelli del lettore, e con questi di conseguenza cerca di influenzare e riformare chi la legge, il lettore la rigetterà anche se è scritta benissimo.
L’impatto retorico (la qualità tecnica nel convincere) dell’opera è astorico in quanto legato al lettore e non all’epoca in cui venne scritta, di conseguenza permette una critica astorica sulla qualità del testo come retorica.
Anzi, di più: meglio è scritta, ovvero più costringe a immergersi nella sua visione del mondo, e più sarà efficace nel disgustare il lettore che ne è allergico, per esempio imponendo a un razzista convinto di dover immaginare i negri come persone normali o a un marxista di dover osannare il neoliberismo.
A pochi estremisti, e tutti sono estremisti in qualche ambito per quanto possa essere ristretto, piace la propaganda del fronte avverso.
Se i lettori odiassero i cagnolini non leggerebbero mai una storia con eroi cagnolini scritta per gli amanti degli animali. Idem chi odia la fantascienza militare non apprezzerebbe mai un libro di quel genere, nemmeno se fosse un capolavoro.
Non tutte le storie sono per tutti e capirlo prima di esprimere “giudizi” che nulla hanno a che vedere con l’opera in sé, ma solo con “il proprio sé” rispetto all’opera, è una forma di consapevolezza umana e di educazione all’arte che molti non posseggono.
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