Il Filtro del Personaggio: Approfondimenti (1)

[Questa è la settima lezione vera e propria del Corso Base di Scrittura: se hai perso l'introduzione al Corso Base di Scrittura e Sceneggiatura, ti consiglio caldamente di leggerla!]

 

Ora che abbiamo terminato il discorso introduttivo sul Filtro del Personaggio, possiamo entrare nei dettagli con tre articoli di approfondimenti. Fanno tutti parte del discorso iniziale sul Filtro del Personaggio, come se tutti e quattro assieme formassero un'unica grande lezione.

Buona lettura!

Poi, dopo, mentre, quando

Tutte le formule come “poi”, “dopo”, “mentre”, “quando” ecc. mettono in relazione eventi diversi tra loro e questa relazione non appartiene al mondo sensoriale perché prevede l’in­fluenza di una mente giudicante a posteriori… ovvero il Narratore. “Finché” o “fino a” hanno già un’applicabilità maggiore, collegano due elementi senza rischio di far percepire uno stacco temporale col punto, per cui quando proprio servono si possono usare (ma non è un invito a usarli più del minimo necessario).

Ora guarda qui:

Lo noto quando comincia a sparare con i quattro pezzi da 80 e, sulle linee alleate alle nostre spalle, sbocciano sfavillanti aiuole di fiori gialli.

Oppure qui:

Sto fiancheggiando il rottame di una camionetta crucca quando una sagoma spunta da dietro i resti della cabina

O qui:

Li abbiamo osservati acquattati tra gli alberi, mentre puntavano il riflettore sulle acque nere e poi ripartivano in direzione del Garda.

Dove sarebbe il Mostrato “qui e ora”, le sensazioni esatte del PdV? Il Narratore sta raccontando da fuori, razionalizzando e riassumendo, ciò che percepisce.

Nel mondo reale non esistono i “poi” o i “quando”: esistono precise cose che, avvenendo una dopo l’altra, da sole mostrano di stare avvenendo in sequenza. Sottolineare l’ovvio con il commento invasivo del Narratore distrugge la verosimiglianza. Se proprio un commento deve esserci, che sia un pensiero del personaggio espresso “qui e ora”.

Non usare il Narratore Invadente per esprimere la tua opinione su ciò che volevi mostrare o che stai mostrando. Mostralo e basta. Se senti di dover commentare, allora lo hai mostrato male, con i dettagli sbagliati: mostralo meglio.

Qualsiasi commento del personaggio (gli unici possibili, non quelli dell’Autore-come-Narratore, deprecato) deve essere mero filtro interpretativo delle sue esperienze sensoriali o, al più, un pensiero scaturito in modo naturale dagli stimoli sensoriali. Quando un personaggio inizia a pensare a cose sconnesse da ciò che prova in quel momento, si cade sempre nel rischio di estendere ancora di più il parco dei pensieri possibili e passare agli Infodump spiattellati a unico beneficio (ma forse è meglio dire “maleficio”) del lettore.

Problemi di Preveggenza

Ricordati di mostrare ciò che percepisce e fa il personaggio sempre dall’interno del PdV. Se lo fai puoi evitare errori al limite della preveggenza come questo:

In un baleno mi ritrovo a fendere le acque e sono in mezzo al fiume. Il crucco però non pare intenzionato a mollare l'osso. Lancio occhiate da sopra la spalla: il Granchio avanza come un mostro degli abissi.

Prima capisce che il crucco non vuole mollare l’osso e dopo vede ciò che causa quel pensiero (il Mech tedesco che lo insegue guadando il fiume): quindi è un preveggente!

Se invece di scrivere come ci porta il cuore si scrivesse con l’ossessivo e unico interesse alle sensazioni del personaggio, non ci troveremmo mai a far trarre prima al personaggio le conclusioni e poi a mostrare gli elementi che fanno trarre quelle conclusioni.

Diventare il Personaggio

Quando immagini la scena tu devi essere il personaggio istante per istante, “dentro e subito” non “fuori e a posteriori”: avrai solo due occhi, quelli del personaggio, e avrai una sola mente, quella del personaggio.

Non si può fare narrativa moderna, basata sull’im­mer­sione, senza rinunciare alla propria individualità per diventare il personaggio. L’individualità dell’au­tore, ovvero il suo stile, rimane nella scelta del personaggio in cui il lettore deve tramutarsi e nei dettagli che questi filtrerà… il famoso Autore Implicito già citato prima.

Quella dello scrittore è una fusione, una negazione del dualismo che separava l’Autore-Narratore dal Personaggio e del dualismo che divideva il Lettore dal Personaggio, a favore di un solo personaggio figlio di un autore invisibile che diventi una porta sul mondo narrativo facendo incarnare in sé il lettore.

Se scrivere fosse una religione, il vero scrittore moderno sarebbe un Mistico, come i tedeschi di Meister Eckhart o i Sufi musulmani o i monaci Zen, interessato all’esperienza non-dualista della piena unità tra l’uomo/lettore e la divinità/personag­gio.

Tutto sarebbe donato a chi rinunciasse a sé stesso assolutamente, anche per un solo istante.

(Meister Eckhart, 1260-1328)

Sull’importanza di rinunciare alla propria identità a favore di quella del personaggio, un po’ come fanno i bravi attori, si è espresso anche il buon Anton Čechov:

[…] buttare sé stessi a mare sempre e dovunque, non intrufolarsi nei protagonisti del proprio romanzo, rinnegare sé stessi, non fosse che per mezz'ora.

(Dalla lettera al fratello Aleksandr, 20 febbraio 1883)

Sarà il lettore poi, forse, a vedere le scene da fuori invece che da dentro il personaggio, in base a quanto è profondo il filtro nelle varie scene e a come è abituato a immaginare le scene quando legge.

Troppa cattiva narrativa, la gran parte esistente (sia commerciale che pseudo-intellettuale), ha fatto in modo che alcuni lettori non siano nemmeno in grado di immaginare il vero effetto a cui aspira l’autentica narrativa moderna. Incontrandola per la prima volta ne rimangono confusi (soprattutto per motivi di ethos, come dirò dopo) o non colgono la differenza chiave con la cattiva narrativa, anche se la vera narrativa piace loro di più.

Non c’è infatti da stupirsi che tante persone, pur leggendo moltissimo, rimangano incapaci di comprendere le motivazioni altrui e di giudicare al di fuori del loro limitato sistema di valori. Le letture che hanno fatto non hanno loro insegnato nulla sul divenire diversi da sé: al più hanno imparato a provare “simpatia” da fuori per le vicende dei personaggi, ma non vera “empatia”. Non vivono così l’autentica liberazione, la “catarsi”, che il divenire altro da sé permette spalancando davvero la nostra mente verso nuove prospettive.

In ogni caso tu come autore dovrai basarti su una narrazione costruita dall’interno del PdV, altrimenti chi cercherà l’autentica catarsi col personaggio, che è ciò a cui la narrativa moderna aspira, si troverà impossibilitato a sperimentarla.

Solo in rarissimi casi potresti sentire il bisogno di staccarti dal personaggio e mostrarlo tramite una Telecamera Neutra sospesa nel vuoto, come se fosse al cinema, o come dico io “retta da un Fantasmino”.

Non è un buon modo di scrivere e al giorno d’oggi può nascere dall’abitudine di pensare le scene vedendole da fuori il personaggio, come se fossero le riprese del cinema. Questo modo di concepire le scene è però alieno alle logiche con cui si scrive narrativa.

Bisogna stare attenti a come funzionano diversamente teatro, cinema, fumetto e prosa, come già detto: le caratteristiche tecniche influenzano i diversi metodi di esprimere le storie in base ai punti forti e deboli specifici dei diversi mezzi. Per esempio i dialoghi del teatro non sono gli stessi dialoghi della prosa o del cinema, perché assolvono funzioni diverse.

La Telecamera Neutra era tipica del Mostrato fatto male dei primi decenni della rivoluzione di Flaubert, in cui si confondeva la verosimiglianza con l’assenza del filtro mentale del personaggio. E anche in quel caso, comunque, non poteva esserci posto per i commenti del Narratore Invadente.

La Telecamera Neutra è un Mostrato da due soldi e dalle potenzialità castrate anche dal punto di vista “etico” della narrativa, ovvero la capacità delle opere di pervaderci, istruirci e cambiarci ponendoci nella “pelle” di individui molto diversi da noi, perché vediamo da fuori invece di vivere da dentro.

In più soffre di una impossibilità tecnico-teorica legata al rapporto tra PdV e linguaggio, trattata nel primo modulo del mio Corso Avanzato. Andiamo molto oltre i bisogni di un Corso Base. A te basti sapere che devi evitare la Telecamera Neutra più che puoi: Mostra tutto penetrando nella mente del personaggio, più a fondo che riesci, sempre.

Immergersi nel personaggio: questo è il concetto cardine della narrativa contemporanea, l’apice di sviluppo dopo due secoli di evoluzione, dai timorosi tentativi diaristici del ‘700 fino al Mostrato poco consapevole della prima metà del ‘900. Se capisci questo allora sei a posto, perché ogni regola e ogni accorgimento di stile ne sono la diretta conseguenza.

Una riflessione sul Narratore e sul Punto di Vista

Faccio una breve parentesi sulla distinzione che sto usando tra Narratore e PdV. Di solito, in narrativa, il  personaggio PdV è indicato anche come Narratore, ma questa definizione è inesatta perché non permette di distinguere ulteriormente il rapporto tra personaggio e lettore.

Con la penetrazione profonda, o in generale con un PdV ben gestito (anche in penetrazione leggera), è ovvio che il mondo, apparendo solo tramite i sensi del personaggio, renda il personaggio anche “Narratore della storia”.

Non ha senso precisare che sia il Narratore, anzi, precisarlo a livello teorico crea solo problemi perché nessuno sta narrando nulla: la finzione narrativa deve illuderci (retorica della dissimulazione) di stare vivendo una vicenda vera che avviene mentre leggiamo, sia quando il tempo è al presente che quando è al passato (ma al presente l’effetto è un po’ più forte).

Col PdV, soprattutto se profondo, più che essere un Narratore il personaggio diventa il corpo che ospita il lettore nell’espe­rienza catartica di divenire il personaggio e vivere una vita diversa con una prospettiva diversa.

Questa esperienza porta a un arricchimento culturale e talvolta a una riflessione su di sé anche solo per aver provato a mettersi nei panni altrui, qualsiasi siano: dal pescatore che teme di aver perso la “virilità/dignità” e si lancia in un’avventura al limite del suicidio ne Il Vecchio e il Mare, alla fatina soldato xenofoba che cerca di riscattare il proprio nome disonorato in Assault Fairies.

Impariamo nuovi modi di concepire la vita e di vedere il mondo. Impariamo a capire le motivazioni di chi ci è diverso.

Quando ha senso allora definirlo Narratore?
Solo quando effettivamente il personaggio ha un ruolo in più, meta-narrativo, quello di dichiarare di essere l’autore della storia che si sta leggendo, fingendo di averla scritta oppure fingendo di raccontarla in quel momento, a voce, al “lettore”.

Il protagonista in La Luna è una Severa Maestra di Heinlein lascia ai posteri le memorie della rivoluzione: è una testimonianza scritta. La voce narrante in stile amicone (un tipo di “voce autorevole”) di Budella, il racconto di Palahniuk, è invece un tentativo di simulare la presenza di qualcuno che sta parlando al lettore come se gli fosse accanto. Nota però che Budella è inserito in un libro, Cavie, in cui davvero quel personaggio ha scritto quella storia per gli altri personaggi…

Se letto singolarmente, tant’è che inizialmente Palahniuk lo pubblicò da solo in un numero di Playboy, rende però bene l’idea che volevo comunicarti. Nota anche che il sottofondo comico della storia (l’aspirazione delle budella dall’ano in una piscina, mentre ci si masturba) ben si sposa con quel distacco narrativo che in una vicenda diversa, una vicenda che non fosse nemmeno un po’ comica, sarebbe una pessima idea.

Solo per questo lato comico-trash Budella, nonostante la presenza invadente del Narratore, funziona. Pensa alla differenza tra ridere di Fantozzi vedendolo da fuori col Narratore Invadente che commenta, esaltando le assurdità, oppure diventare Fantozzi vivendo di persona (PdV profondo) il suo dolore e le sue umiliazioni. Nel primo caso è comico, nel secondo è drammatico. Ridiamo di Fantozzi, non con Fantozzi.

Fuori dal comico non è una buona scelta rivolgersi direttamente ai lettori: l’illusione di stare vivendo la vicenda per davvero, nel corpo e nella mente di un altro individuo, si infrange.

Pensa a Fanteria dello Spazio di Heinlein: lì lo svantaggio del Personaggio-Narratore che porta la sua testimonianza diventa maggiore dei possibili benefici, che in La Luna è una Severa Maestra erano quelli di poter riassumere mesi di preparativi in poche pagine di riflessioni. Se la storia fosse tutta in PdV profondo senza mai rivolgersi al lettore, con ancora più dettagli concreti e di conseguenza molta più drammatizzazione, sarebbe molto migliore.

Discorso identico per Guerra Eterna di Haldeman in cui addirittura la scarsa immersione, il voler essere narrativa-reportage, riduce enormemente il potenziale come opera che vuole raccontarci la follia di una guerra lunga secoli e l’impos­si­bilità per i reduci di reintrodursi nella società.

Le Cornici Narrative

Lo stesso discorso si può fare per Sotto le Lune di Marte, il primo romanzo su John Carter: la finzione che siano vere memorie e lo stile da narrativa di viaggio che le rende simili ad autentiche memorie (insomma tutta la cornice meta-narrativa sulla reale esistenza di Carter) non serve a nulla e crea solo problemi. Riscritto solo con scene Mostrate “qui e ora” dal PdV sarebbe stato molto più godibile.

Quasi sempre la cornice è una pessima idea. È un residuato rugginoso legato alla paura, nel ‘700, con la rinascita del romanzo in Inghilterra, che a scrivere storie esplicitamente inventate nessuno le avrebbe lette o apprezzate. Questo portò a scegliere di dare, con il diario o con la cornice della testimonianza, una patina di realismo alle vicende… come oggi si fa con i farlocchi “tratto da una storia vera” a inizio film.

Il motivo è lo stesso anche oggi: si teme che il pubblico sia troppo imbecille per apprezzare una storia esclusivamente inventata, troppo regredito a uno stato subumano per potersi immergere in un altro individuo e vivere la sua esperienza di vita, e allora bisogna ingannarlo con l’autorevolezza della storia vera.

È tristissimo ed è un elemento ulteriore per chi sostiene l’idea del progressivo degrado dell’intelletto umano nel corso degli ultimi cento anni, ma lo fanno davvero per questo motivo. Se non hai colto la gravità della questione, abbiamo una prova in più a sostegno di quell'idea...

Il Filtro e il Narratore Inaffidabile

Il filtro profondo permette gradevoli giochi narrativi sul Narratore Inaffidabile ovvero sulle interpretazioni del PdV che si rivelano al lettore, tempo dopo, molto diverse dalla realtà effettiva

Essere caduti nel tranello di pensare che il PdV avesse ragione, anche quando c’erano elementi per dubitare di lui, crea una sensazione di realismo e verità che piace molto ai lettori moderni. La realtà fornita è solo quella interpretata, e il “vero oggettivo” rimane irraggiungibile.

Pensa a classici come Il Grande Gatsby, dove il Narratore Inaffidabile è presente decenni prima che Wayne Booth desse un nome a questa particolare trovata retorica della narrativa e ne spiegasse il vero potenziale.

Per esempio in The Iron Dragon’s Daughter di Michael Swanwick (pubblicato in italiano come La Figlia del Drago di Ferro all’intero dell’Urania Millemondi I Draghi del Ferro e del Fuoco) la protagonista sembra sempre prendere l’unica decisione possibile, fino all’ultima parte della storia, e sembra effettivamente sempre costretta a sacrificare gli altri per salvarsi.

Al lettore difficilmente verrà il dubbio che stia sbagliando… fino a quando si capirà che è la sua debolezza e il suo egoismo a portarla sempre alla soluzione più facile, quella in cui lei si salva con meno problemi possibili e gli altri soffrono, e che quella soluzione non è mai stata l’unica. Era sembrata l’unica soluzione possibile solo perché lei voleva giustificare le proprie azioni egoiste a sé stessa.

Da eroina che se la cava per un pelo sempre, quindi un personaggio fondamentalmente positivo seppure opportunista, diventa invece un personaggio egoista e meschino… ma con un riscatto finale “in sospeso”: la prota­go­nista cresce e cambia nel romanzo fantasy di Michael Swanwick, che assume la forma di un vero e proprio romanzo di formazione (“sospeso” perché alla fine viene lasciato il dubbio che in fondo potrebbe non aver davvero imparato dai propri errori).

 

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